Parrocchia 
Santi Angeli Custodi

Francavilla al Mare - Chieti

La Parola di Dio di don Gianni

Perdonàti, perdoniamo!

XXIV Domenica del Tempo Ordinario - A

(Mt 18,21-35)

 

13 settembre 2020

 

 

            Il dialogo tra Gesù e Pietro mette in evidenza il contrasto tra il modo di pensare di chi crede che il perdono sia un gesto che può essere ripetuto, ma solo per un numero limitato di volte, e quello invece di Gesù che considera il perdono un’esigenza sempre necessaria (“Fino a settanta volte sette”). La parabola del servo spietato che Gesù racconta serve a spiegare proprio questo suo insegnamento. C’è un re che perdona il grande debito che un servo aveva contratto a seguito di una sua supplica, ma quest’ultimo, pur essendo perdonato, non condona la piccola somma che gli è dovuta da un suo collega. Qual è il significato di fondo di questo contesto? Tutti nella Chiesa hanno un debito enorme con Dio, che è assolutamente impossibile ripagare. Se il padrone infatti lascia prevalere la giustizia, il servo è perduto. E se tutti sono debitori insolvibili, tutti hanno bisogno di perdono e tutti sono chiamati a perdonare. La misericordia è infatti per sua natura contagiosa!

            La pagina evangelica odierna ci ricorda che siamo tutti perdonati e che tutti siamo chiamati alla responsabilità nei confronti di chi pecca. Ma, alla scuola del Crocifisso, tutti siamo chiamati a perdonare. “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”, ripetiamo nel Padre nostro. Chiediamo cioè a Dio di perdonarci, perché se veramente abbiamo fatto esperienza della sua misericordia e quindi siamo coinvolti nel suo perdono, non possiamo non praticarlo a nostra volta nei rapporti con gli altri. Lo aveva ben compreso S. Agostino che diceva: «Perdonàti, perdoniamo!».

            Tempo fa, sugli organi di stampa, mi hanno colpito profondamente le parole di Carolina Porcaro, la madre di Lorenzo Cenzato, un 18enne di Monza ucciso da un coetaneo dell’Ecuador: «Mi dispiace per lui - ha detto riferendosi all’omicida -  per tutto quello che dovrà sopportare e superare e mi dispiace per i suoi genitori. Sicuramente non voleva uccidere mio figlio e spero che questa storia sia di esempio per tutti i giovani. L’odio bisogna metterlo da parte, la vita merita rispetto da parte di tuttiNon ho bisogno di perdonare chi ha ucciso mio figlio, perché nemmeno per un attimo ho pensato di odiarlo. È la fede che mi dà la forza di essere serena, o forse ancora non mi rendo conto di quello che è successo veramente». Parole rare di questi tempi e un commento quanto mai attuale alla pagina evangelica odierna.

 
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XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - A

XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - A
(Mt 18,15-20)
6 settembre 2020

NOI SIAMO DI “RAZZA COMUNITARIA” 

La pagina evangelica di questa domenica ci fa intuire l’importanza che assume, nella comunità raccolta attorno a Cristo, il valore della fraternità. È questo il problema che viene sollecitato da Gesù con il discorso della correzione fraterna: “Se il tuo fratello commette una colpa, va e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello…”.

Cosa succede quando in una comunità c’è un fratello o una sorella che per qualche modo di pensare o di agire è ancora formalmente unito, ma di fatto è come separato, perché non condivide quella tensione alla santità che dovrebbe essere di tutti? Che cosa fare? Il Vangelo detta una serie di adempimenti, i quali - si vede chiaramente - rispecchiamo le regole del discernimento comunitario delle prime comunità cristiane. Di questi adempimenti è importante cogliere lo spirito che conserva, attraverso i tempi, una perenne attualità.

C’è un primo passo da fare: “Va’ e ammoniscilo fra te e lui solo”. È una regola semplicissima, ma non facile. È come se Gesù ti dicesse: “Lascia anzitutto i giudizi mormorati alle spalle dell’interessato. Cerca piuttosto l’occasione di parlargli e fargli capire che lo comprendi e che non ti ritieni superiore a lui. Parlagli per rileggere con lui - se mai fosse possibile - il Vangelo, per pregare con lui. Parlagli come un’eco della voce di Dio che chiama tutti alla stessa santità”.

E se ogni tentativo risultasse inutile? “Sia per te come un pagano e un pubblicano”. Il Vangelo sembra alla fine legittimare il disimpegno, ma non è così. Non dimentichiamo che nel Vangelo i pubblicani e i peccatori sono quelli amati di più. La buona novella è per loro. Perciò l’espressione che abbiamo trovato non è un invito a troncare la solidarietà, ma ad assegnare a queste persone il primo posto nella preghiera e nella nostra pietà.

Al Signore interessano poco o nulla i nostri processi e le nostre condanne. La sua legge è l’amore. In una società indifferente e apatica di fronte ai comportamenti altrui, la comunità cristiana è chiamata ad uno spirito diverso. Noi siamo di “razza comunitaria”.

 

 

 

 
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