Parrocchia 
Santi Angeli Custodi

Francavilla al Mare - Chieti

XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (MC 7,1-8.14-15.21-23)

IL CULTO DELLE LABBRA E DEL CUORE

Gesù, dopo il miracolo della moltiplicazione dei pani per i cinquemila nel deserto, presenta se stesso come quel vero nutrimento spirituale dono di Dio di cui l’uomo ha bisogno per la sua vita. Ma a Gesù che si presenta come pane risponde la cecità e la durezza di cuore non solo degli avversari ma anche degli stessi discepoli incapaci di riconoscere e accogliere il suo dono.

Il brano odierno, dallo stile profetico, presenta alla comunità cristiana una diatriba tra Gesù e gli scribi e farisei venuti da Gerusalemme. I farisei sono coloro che pongono tutte le loro energie a servizio dell’osservanza scrupolosa e inoppugnabile della legge. Gli scribi sono invece coloro che studiano la legge e la conoscono in ogni sua sfumatura. Chi più di loro può sentirsi autorizzato nel denunciare ciò che allontana dalla retta pratica della fede?

L’antitesi legge/vangelo, che accompagnerà anche la storia della comunità cristiana (cfr At 15,5ss), emerge nel nostro testo violentemente. Il motivo del conflitto è causato dal comportamento dei discepoli che «prendevano cibo con mani immonde» cioè “non lavate”. Il significato di questa norma non è solo e anzitutto questione igienica: per il pio israelita è soprattutto invito a riconoscere che quel cibo è dono di Dio, e quindi va consumato con il rispetto e la venerazione nei confronti del donatore. Il significato della norma era perciò aiutare a “fare memoria”, nel dono del “pane”, dell’alleanza con Dio. Ma ora il pane è Cristo stesso, ed è lui che discepoli, farisei e scribi sono chiamati a riconoscere come dono di Dio. Tutto il resto dovrebbe passare in secondo piano: anche la legge santa! Ma questo non accade, e il motivo è semplice: la cecità e la durezza del cuore di tutti.

Farisei e scribi, che hanno ben coscienza del peso della loro autorità in mezzo al popolo, si scandalizzano di Gesù. Non è egli chiamato rabbi? Perché non interviene, come suo dovere, a favore della legge? Se Gesù fosse realmente un rabbi rispettoso della legge non dovrebbe permettere questo.

A questa rigida presa di posizione degli avversari Gesù risponde con la citazione di Isaia 29,13. E citando i profeti, egli si colloca nella loro linea di severa accusa nei confronti di un culto ormai decaduto perché solo esteriore. L’antitesi posta dal testo di Isaia è tra culto delle labbra e del cuore, ovvero tra culto esteriore e interiore. Giungiamo al v. 8 al nucleo centrale della denuncia fatta da Gesù: «Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». L’uomo “religioso” (da intendersi come l’uomo non ancora evangelizzato) corre sempre il tremendo rischio di porre al primo posto la legge con la quale ricercare la propria giustificazione. Gesù porta quindi un esempio limite con il quale dimostra concretamente come la legge, e l’interpretazione che ne fa la tradizione “degli antichi”, diventa occasioni di subdola ipocrisia. È l’abile malizia del cuore indurito per cui la legge “santa” si trasforma in sottile strumento per eludere la verità e le esigenze autentiche della religione “del cuore”.

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